martedì 17 febbraio 2015

Storiche lucciole per lanterne

A volte gli storici compulsando gli antichi documenti si concentrano su uno in particolare, senza verificarne l’autenticità o la correttezza della trascrizione. Così è avvenuto che il povero Prevosto Niccolò Boldoni, della prima metà del ‘500, è stato ridotto allo stato laicale, non dall’autorità ecclesiastica, ma da uno storico locale, basandosi su un documento che, avendolo definito archipresbiter, e in seguito cancellato il titolo e sovrascritto dominus, ne ha dedotto la sua “laicità”e anche perché su altri scritti viene  identificato come venerabilis dominus … prepositus. Purtroppo però, non è posta la questione solo come condizione transitoria, di un giovane ancora senza ordini ecclesiastici, ma in attesa di riceverli, bensì come situazione perdurata per tutto l’incarico. E a supporto di tale strampalata ipotesi viene portata la vicenda di Ippolito II d’Este, succeduto allo zio Ippolito sulla cattedra di Ambrogio, a soli 10 anni, omettendo che, in seguito, non solo venne regolarmente ordinato sacerdote, ma anche vescovo e nominato cardinale. Mentre è facile appurare la biografia del Cardinal Ippolito d’Este, sarebbe un po’ più difficile trovare la reale identità del Prevosto Niccolò Boldoni.
Per fortuna l’Arciprete don Livio, pubblicò sulla rivista Aplanum un articolo riguardante un arbitrato proprio tra il nostro e i canonici residenti, dove viene chiamato chiaramente “presbiterum”, cioè prete e dove gli si impone l’obbligo di celebrare un certo numero di messe, cosa che naturalmente poteva ottemperare solo essendo prete a pieno titolo. Ecco un estratto della pergamena[1].

«NOS Cesar Trivultius Dei et apostolice sedis gratia Episcopus comensis et in hac parte uti arbiter et arbitrator amicabilis compositor et amicus comunis electus per et inter venerabilem dominum presbiterum Nicolaum boldonum prepositum ecclesie Sancti Petri de ogiate comensis diocesis... et venerabiles dominos presbiterum Antonium et presbiterum Philippum ambos de rusconibus canonicos predicte ecclesie...
Visu prius dicto compromisso et electione ac facultate et libertate nobis ex eo attributa per partes predictas sui set dictis nominibus utsupra: et viso quodam instrumento pronuntiamenti seu arbitramenti alias de anno millesimo quingentesimo decimoseptimo lati inter dominos tunc prepositum et quosdam canonicos dicte ecclesie per quod inter cetera declaratum et arbitratum fuerat quod dictus dominus prepositus predicte ecclesie haberet duas voces in capitulo et duplicem portionem distribitionum quottidianorum. Et quod predicti domini canonici unacum ipso domino preposito tenerentur ad rotam singula hebdomada celebrare missas in dicta ecclesia ita tamen quod dominus prepositus teneretur ad duplex onus dicte celebrationis … omni meliori modo via iure causa et forma quibus melius potuimus et possumus pronuntiavimus terminavimus arbitrati et arbitramentati sumus in hunc quem sequitur modum et formam, videlicet:
primo quia cultus divinus alijs rebus preferendus est ordinavimus et ordinamus quod dominus prepositus qui habet curam animarum in predicta ecclesia sancti petri de ogiate teneretur in ea celebrare missam per se ipsum vel vicarium omnibus diebus festivi et illam cantare seu cantari facere in diebus solitis cantari.  …»

E di seguito la traduzione:

«Noi, Cesare Tivulzio, per grazia di Dio e della sede apostolica Vescovo di Como, richiesto per questa controversia quale arbitro e conciliatore amichevole e amico comune tra il venerabile sacerdote sig. Nicolò Boldoni, prevosto della chiesa di san Pietro di Uggiate, diocesi di Como... e i venerabili sacerdoti sig. Antonio Rusca e sig. Filippo Rusca canonici della detta chiesa...
Visto prima il predetto compromesso e la scelta della nostra persona e la facoltà e libertà in esso a noi attribuita dalle parti e per conto delle persone sopra citate; e visto un istrumento di arbitrato concluso, in altra circostanza, nell’anno millecinquecentodiciassette, fra il prevosto di allora e alcuni canonici della detta chiesa, a norma del quale, tra l’altro, era stato deciso che il signor prevosto avesse doppio voto in capitolo e doppia parte nelle distribuzioni quotidiane; che i signori canonici insieme con lo stesso signor prevosto fossero tenuti a turno a celebrare ogni settimana, nella detta chiesa, le messe, in modo tale che al signor prevosto spettasse doppio incarico in tale celebrazione… visto e considerato quanto era di dovere, volendo preferire, per la pace e la concordia delle stesse parti, la via dell’amichevole conciliatore, nel miglior modo possibile abbiamo giudicato e deciso, e ci siamo pronunciati nella forma seguente:
Primo: poiché il culto divino è da anteporre ad ogni altro interesse, abbiamo ordinato e ordiniamo che il signor prevosto, al quale spetta la cura delle anime della predetta chiesa di san Pietro di Uggiate, sarà tenuto, lui stesso, o per mezzo del vicario, a celebrare in essa la Messa tutti i giorni festivi, e a cantarla, o a farla cantare, nei giorni in cui la si deve cantare. …».

Mi pare doveroso restituire non solo il giusto titolo di sacerdote al Prevosto Boldoni, ma anche un po’ di dignità, visto come è stato trattato, mettendone in risalto solo gli aspetti negativi, quasi fosse assetato unicamente di prebende e di benefici per interesse economico. Tanto più che il suo nome è ancora inciso nella pietra di un ingresso posteriore della casa parrocchiale, testimone perlomeno di un suo interesse e di una sua presenza.

Un abbaglio in senso contrario l’ebbero vari storici che se lo tramandarono in più libri e articoli. Si tratta di Gualderico Sescalco, citato come testimone in una sentenza riguardante una causa sorta tra una certa Rigiza e i canonici di San Fedele in Como. La pergamena originale non esiste più, ma una copia la trascrisse don Santo Monti,[2] al quale sfuggi una virgola tra il nome di Gualdericus Sescalcus e præpositus de Cuvi. E poiché subito dopo è riportato come testimone il prevosto di Uggiate, qualcuno ha ipotizzato che il Sescalco ricoprisse le due cariche contemporaneamente. Tuttavia F. Savio, nel suo libro sugli antichi vescovi d’Italia[3], invece, volle distinguere, proprio a causa della virgola, i due personaggi. Effettivamente le numerose citazioni di Gualderico Sescalco in atti di un decennio[4], confermano che fosse un rappresentante civile della città di Como. Addirittura il Rovelli, nella sua storia di Como, lo nomina presente ad un atto di pacificazione con la comunità di Mandello nelle sue funzioni di console di Como, l’atto è del 2 giugno 1167[5], solo 25 giorni prima dell’atto in questione, e i consoli erano per definizione laici! A conferma possiamo aggiungere che i gli altri sacerdoti titolari di una chiesa non sono citati per nome, ma per ufficio, come l’arciprete di Monza e il prevosto di Uggiate, mentre tutti i laici sono chiamati per nome e cognome.
Così gli stessi storici da una parte fanno diventare prete un laico, appunto il console di Como Gualderico Sescalco e dall’altra riducono a semplice laico un prete a tutti gli effetti, cioè il prevosto Niccolò Boldoni. Scherzi della storia o piuttosto della “vista” degli storici.


  





Qui a fianco è riportato il testo del Rovelli circa la lite tra Como e Mandello e l’accordo stipulato alla presenza dei Consoli, tra i quali figura Gualderico Sesascalo (sic) refuso per Sescalco.




[1] APLANUM MCMLXXXIII, P.Livio: Arbitrato del vescovo Cesare Trivulzio tra prevosto e canonici di Uggiate in una pergamena del sec. XVI, pp.157-159
[2] S. Monti: Carte di S. Fedele in Como, Como 1913
[3] Fedele Savio: Gli antichi vescovi d'Italia dalle origini al 1300 descritti per regioni: la Lombardia, Libreria editrice fiorentina, 1929, pag.343: Interfuerunt istae sententiae: Archipresbiter de Modectia, Ardicius Canonicus S. Marie, Gualdericus Sexcalens; Præpositus de Cuvi et Præpositus deOglate... Rogerius et Adam, et Guifredus de Piro,…
[4] Cfr. Claude Campiche, Die Comunalverfassung von Como in 12. und 13. Jahrhundert, Zurigo 1929.
[5] G. Rovelli: Storia di Como, II, Milano 1794,n. 10, pag. 350