A volte gli storici compulsando gli antichi documenti si
concentrano su uno in particolare, senza verificarne l’autenticità o la
correttezza della trascrizione. Così è avvenuto che il povero Prevosto Niccolò
Boldoni, della prima metà del ‘500, è stato ridotto allo stato laicale, non
dall’autorità ecclesiastica, ma da uno storico locale, basandosi su un
documento che, avendolo definito archipresbiter,
e in seguito cancellato il titolo e sovrascritto dominus, ne ha dedotto la sua “laicità”e anche perché su altri
scritti viene identificato come venerabilis dominus … prepositus. Purtroppo
però, non è posta la questione solo come condizione transitoria, di un giovane
ancora senza ordini ecclesiastici, ma in attesa di riceverli, bensì come
situazione perdurata per tutto l’incarico. E a supporto di tale strampalata
ipotesi viene portata la vicenda di Ippolito II d’Este, succeduto allo zio
Ippolito sulla cattedra di Ambrogio, a soli 10 anni, omettendo che, in seguito,
non solo venne regolarmente ordinato sacerdote, ma anche vescovo e nominato
cardinale. Mentre è facile appurare la biografia del Cardinal Ippolito d’Este,
sarebbe un po’ più difficile trovare la reale identità del Prevosto Niccolò
Boldoni.
Per fortuna l’Arciprete don Livio, pubblicò sulla rivista
Aplanum un articolo riguardante un arbitrato proprio tra il nostro e i canonici
residenti, dove viene chiamato chiaramente “presbiterum”,
cioè prete e dove gli si impone l’obbligo di celebrare un certo numero di messe,
cosa che naturalmente poteva ottemperare solo essendo prete a pieno titolo. Ecco
un estratto della pergamena[1].
«NOS Cesar
Trivultius Dei et apostolice sedis gratia Episcopus comensis et in hac parte
uti arbiter et arbitrator amicabilis compositor et amicus comunis electus per
et inter venerabilem dominum presbiterum
Nicolaum boldonum prepositum ecclesie Sancti Petri de ogiate comensis
diocesis... et venerabiles dominos presbiterum Antonium et presbiterum
Philippum ambos de rusconibus canonicos
predicte ecclesie...
Visu prius dicto compromisso
et electione ac facultate et libertate nobis ex eo attributa per partes
predictas sui set dictis nominibus utsupra: et viso quodam instrumento pronuntiamenti seu arbitramenti
alias de anno millesimo quingentesimo decimoseptimo lati inter dominos tunc prepositum
et quosdam canonicos dicte ecclesie per quod inter cetera declaratum et
arbitratum fuerat quod dictus dominus prepositus predicte ecclesie haberet duas
voces in capitulo et duplicem portionem distribitionum quottidianorum. Et quod
predicti domini canonici unacum
ipso domino preposito tenerentur ad rotam singula hebdomada celebrare missas in
dicta ecclesia ita tamen quod dominus prepositus teneretur ad duplex onus dicte
celebrationis … omni meliori modo via iure causa et forma quibus melius
potuimus et possumus pronuntiavimus terminavimus arbitrati et arbitramentati
sumus in hunc quem sequitur modum et formam, videlicet:
primo quia cultus divinus alijs rebus preferendus est ordinavimus et
ordinamus quod dominus prepositus qui habet curam animarum in predicta ecclesia
sancti petri de ogiate teneretur in ea celebrare
missam per se ipsum vel vicarium omnibus diebus festivi et illam cantare
seu cantari facere in diebus solitis cantari.
…»
E di seguito la traduzione:
«Noi, Cesare Tivulzio, per grazia di Dio e della sede apostolica Vescovo di Como, richiesto per questa controversia quale arbitro e conciliatore amichevole e amico comune tra il venerabile sacerdote sig. Nicolò Boldoni, prevosto della chiesa di san Pietro di Uggiate, diocesi di Como... e i venerabili sacerdoti sig. Antonio Rusca e sig. Filippo Rusca canonici della detta chiesa...
Visto prima il
predetto compromesso e la scelta della nostra persona e la facoltà e libertà in
esso a noi attribuita dalle parti e per conto delle persone sopra citate; e
visto un istrumento di arbitrato concluso, in altra circostanza, nell’anno
millecinquecentodiciassette, fra il prevosto di allora e alcuni canonici della
detta chiesa, a norma del quale, tra l’altro, era stato deciso che il signor
prevosto avesse doppio voto in capitolo e doppia parte nelle distribuzioni
quotidiane; che i signori canonici insieme con lo stesso signor prevosto
fossero tenuti a turno a celebrare ogni settimana, nella detta chiesa, le
messe, in modo tale che al signor prevosto spettasse doppio incarico in tale
celebrazione… visto e considerato quanto era di dovere, volendo preferire, per
la pace e la concordia delle stesse parti, la via dell’amichevole conciliatore,
nel miglior modo possibile abbiamo giudicato e deciso, e ci siamo pronunciati
nella forma seguente:
Primo: poiché il culto
divino è da anteporre ad ogni altro interesse, abbiamo ordinato e ordiniamo che
il signor prevosto, al quale spetta la cura delle anime della predetta chiesa
di san Pietro di Uggiate, sarà tenuto,
lui stesso, o per mezzo del vicario, a
celebrare in essa la Messa tutti i giorni festivi, e a cantarla, o a farla
cantare, nei giorni in cui la si deve cantare. …».
Mi pare doveroso restituire non solo il giusto titolo di
sacerdote al Prevosto Boldoni, ma anche un po’ di dignità, visto come è stato
trattato, mettendone in risalto solo gli aspetti negativi, quasi fosse assetato
unicamente di prebende e di benefici per interesse economico. Tanto più che il
suo nome è ancora inciso nella pietra di un ingresso posteriore della casa
parrocchiale, testimone perlomeno di un suo interesse e di una sua presenza.
Un abbaglio in senso contrario l’ebbero vari storici che se
lo tramandarono in più libri e articoli. Si tratta di Gualderico Sescalco,
citato come testimone in una sentenza riguardante una causa sorta tra una certa
Rigiza e i canonici di San Fedele in Como. La pergamena originale non esiste
più, ma una copia la trascrisse don Santo Monti,[2]
al quale sfuggi una virgola tra il nome di Gualdericus
Sescalcus e præpositus de Cuvi. E
poiché subito dopo è riportato come testimone il prevosto di Uggiate, qualcuno
ha ipotizzato che il Sescalco ricoprisse le due cariche contemporaneamente.
Tuttavia F. Savio, nel suo libro sugli antichi vescovi d’Italia[3],
invece, volle distinguere, proprio a causa della virgola, i due personaggi.
Effettivamente le numerose citazioni di Gualderico Sescalco in atti di un
decennio[4],
confermano che fosse un rappresentante civile della città di Como. Addirittura
il Rovelli, nella sua storia di Como, lo nomina presente ad un atto di
pacificazione con la comunità di Mandello nelle sue funzioni di console di
Como, l’atto è del 2 giugno 1167[5],
solo 25 giorni prima dell’atto in questione, e i consoli erano per definizione
laici! A conferma possiamo aggiungere che i gli altri sacerdoti titolari di una
chiesa non sono citati per nome, ma per ufficio, come l’arciprete di Monza e il
prevosto di Uggiate, mentre tutti i laici sono chiamati per nome e cognome.
Così gli stessi storici da una parte fanno diventare prete
un laico, appunto il console di Como Gualderico Sescalco e dall’altra riducono
a semplice laico un prete a tutti gli effetti, cioè il prevosto Niccolò
Boldoni. Scherzi della storia o piuttosto della “vista” degli storici.
Qui
a fianco è riportato il testo del Rovelli circa la lite tra Como e Mandello e l’accordo
stipulato alla presenza dei Consoli, tra i quali figura Gualderico Sesascalo
(sic) refuso per Sescalco.
[1] APLANUM MCMLXXXIII, P.Livio: Arbitrato del vescovo Cesare
Trivulzio tra prevosto e canonici di Uggiate in una pergamena del sec. XVI,
pp.157-159
[3] Fedele Savio: Gli antichi vescovi d'Italia dalle
origini al 1300 descritti per regioni: la Lombardia, Libreria editrice
fiorentina, 1929,
pag.343: Interfuerunt istae sententiae: Archipresbiter de Modectia, Ardicius
Canonicus S. Marie, Gualdericus Sexcalens; Præpositus de Cuvi et Præpositus deOglate...
Rogerius et Adam, et Guifredus de Piro,…
[4] Cfr. Claude Campiche, Die
Comunalverfassung von Como in 12. und 13. Jahrhundert, Zurigo 1929.
[5] G.
Rovelli: Storia di Como, II, Milano 1794,n. 10, pag. 350