domenica 26 aprile 2015

25 aprile punto e a capo

Historia magistra vitæ, la storia è maestra di vita, diceva Cicerone, mai come oggi si rivela vera la sua affermazione, quantunque sia smentita dalla retorica che circonda la data del 25 aprile. Viene presentata come il giorno radioso della liberazione da un periodo oscuro di dittatura e di assenza di libertà. Certamente segna la fine del Fascismo come regime di governo, ma ciò non rappresenta tutta la verità. A che prezzo e con che mezzi si è ottenuta la libertà? È un primo interrogativo e ha le sue buone ragioni; poiché se è lecito combattere un regime, non si possono certo usare i metodi violenti che si condannano quando sono esercitati dalla parte avversa. Poi c'è una seconda domanda: che progetto di società ha inteso realizzare il movimento antifascista? O se vogliamo: quale libertà è maturata nel dopo guerra? Perché se oggi siamo convinti di vivere nella piena libertà, allora è inutile continuare il discorso, saremmo di fronte a una cecità intellettuale e culturale.
Uggiate, quando non c'era l'asfalto
Il periodo fascista a Uggiate è racchiuso tra due fatti tragici che però risultano molto istruttivi. Il primo accadde nel 1923, quando il Vescovo costrinse il Prevosto Rumi a dimettersi e don Tam scrive nel Chronicon, pochi anni dopo, di non sapere il motivo, ma probabilmente ne tace per delicatezza e carità. Don Mario Sessa, che fu l'ultimo vicario del Prevosto mons. Tam, mi disse che vi erano contro di lui imputazioni gravissime e me le esplicitò. Fatto sta che quando il Prevosto Rumi lasciò la parrocchia alla chetichella, molti Uggiatesi tra fascisti e signori si scatenarono contro don Sironi che era il Vicario, contro le Suore e le associazioni cattoliche, al punto che don Sironi appena terminata la Messa fu avvertito che i fascisti lo aspettavano fuori dalla chiesa, così potè salvarsi, uscendo dal retro e fuggendo per i campi arrivò a Trevano dal "Faturèla". Tuttavia la sua casa fu messa a soqquadro e gli disfarono tutto quello che trovarono, arrivando addirittura a rompere un crocifisso di gesso che la mia bisnonna Matilde Facchinetti (la Mam Mitilda) recuperò e conservò in casa sua, tanto che feci in tempo anch'io a vederlo. Seguirono a queste prime violenze una serie di attentati contro simboli, come la bandiera dell'Azione Cattolica o come la tipografia del quotidiano "L'Ordine", e contro persone, accusate ingiustamente di ogni misfatto e anche incarcerate. Il clima in paese era talmente torbido e le fazioni tanto agguerrite che avvenivano schiamazzi in chiesa e le celebrazioni erano frequentemente disturbate. Don Tam annota che almeno una domenica Uggiate rimase senza la Messa poiché i preti viciniori avevano tutti paura ad affrontare una situazione così tesa.
Non ci vuole di certo uno storico per capire di chi fosse la colpa di tutto ciò, ne era convinto anche mons. Tam, tanto che lo scrisse nel Chronicon, tuttavia dimostrò una grande capacità di mediatore e di pacificatore, affrontando i fascisti e il Podestà presentatisi per giustificarsi dei loro eccessi, con queste testuali parole: «Per loro norma io non venni per far da giudice istruttore sui torbidi successi nel paese, ma per calmare gli animi e per ristabilire l’ordine e la pace. Se riesco nel mio intento ne ringrazio il Signore, altrimenti non ho che a rivolgermi al Superiore perché mi destini altrove. La mia missione incomincia dal 10 di questo mese (10 novembre 1923), e non devo né voglio interessarmi del passato. E siccome le piaghe più si grattano e più mandano sangue, prego mettere una pietra sul passato, e collaborare di comune accordo per la pace ed il miglior bene dell’avvenire»
Don Sironi approdò a Cabiaglio in Valcuvia e vi rimase fino alla morte. Portò con sé alcuni documenti relativi alla Cassa Rurale e alla Cooperativa di consumo, che vidi di persona in una cartella dell'archivio di quella parrocchia.

un funerale in epoca fascista
L'altro fatto, se possibile, fu ancora più grave. Nei giorni successivi al 25 aprile 1945, un camion con dieci persone a bordo attraversò il paese e si fermò al Punt da la Pàssera, le dieci persone furono immediatamente uccise con raffiche di mitra. Non tutte morirono sul colpo. Testimone di quei momenti fu mio padre Antonio Braga, che mi disse di essere corso a chiamare un prete per dare una benedizione e per soccorrere gli eventuali sopravvissuti. Purtroppo il primo sacerdote incontrato gli rispose che se li avevano uccisi significava che se lo meritavano e si rifiutò di seguirlo, si trovò un altro prete che intervenne subito dopo. Ma non era finita la crudeltà di quell'episodio. I cadaveri furono caricati su un carro e portati al cimitero, alcune donne si avvicinarono al carro insultando e sputando sui cadaveri. Chi erano e perché furono giustiziati in quel modo? Mai nessuno mi dette una risposta. Chissà se almeno a quei disgraziati fu celebrata una Messa, o dedicata una preghiera. È triste pensare che una ricorrenza così solennizzata serva ancora oggi a nascondere le malefatte dei vincitori e a dimenticare alcune vittime, solo perché erano dalla parte sbagliata. Non ho ricordo di alcuna preghiera pubblica per quelle vittime sepolte in una tomba che da bambino m'incuriosiva, perché era più grande delle altre ma non vi era nessun nome e nessuna foto.

Forse aveva ragione il don Tam quando invitava a mettere una pietra sul passato, perché certi fatti sono come le piaghe più si grattano e più mandano sangue. Anche se sono passati tanti anni le idee politiche e gli schieramenti sussistono e i ricordi parziali o addomesticati non fanno altro che fomentare divisioni e rancori.


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