giovedì 2 ottobre 2014

ancora su Don Virginio Sosio

Tra poche settimane vi sarà a Uggiate l'avvicendamento del parroco. Vorrei ricordare in tale circostanza ancora l'Arciprete don Virginio Sosio (1954-1978) che proprio nello stesso periodo lasciava la parrocchia per andare a Sondrio come primo vicario episcopale per la Valtellina e la Valchiavenna.
Nella sua ultima omelia rivela i sentimenti profondi del suo ministero a Uggiate. Ne rilevo tre:

1. Il primato della fede. Troviamo nel riferimento alle tante iniziative intraprese nei suoi anni a Uggiate sempre come prima causa la grazia, la provvidenza, la volontà di Dio.
2. L'appartenenza al gregge. Nonostante cerchi di considerare la sua permanenza a Uggiate come esperienza chiusa (le vostre belle chiese), non ce la fa e quasi sempre si sente nelle sue parole il profondo legame con la sua gente. È il suo un "cuore di padre verso i figli che ha amato, che ama e che lascia per ubbidienza". È il pastore con l'odore delle pecore, per citare una frase di Papa Francesco.
3. L'amore per la tradizione. Don Virginio fu un innovatore, ma non sconsiderato, sapeva inventare nuove forme per aggregare e richiamare i lontani, ma era critico con i preti che disprezzavano il passato. Qualche giusta nostalgia per i canti e per l'antica liturgia trapela anche in quest'ultima predica.


OMELIA DI COMMIATO DI DON VIRGINIO SOSIO
Uggiate, 26 novembre 1978, solennità di Cristo Re

Tante volte mi ritorneranno alla memoria gli incontri con il mio popolo di Uggiate. Ritorneranno alla memoria per essere per me motivo di continuare un cammino di lavoro nel nuovo campo cui sono stato, anche se indegno, chiamato. E saranno per me di conforto questi ricordi di un popolo attorno all’altare nella casa del Padre in preghiera.
Anche in questo incontro domenicale, ultimo come vostro parroco, la parola di Dio, che sempre ho cercato di assieme meditare in questi ventiquattro e più anni, ci viene incontro a meraviglia; perché, proprio anche in questo incontro velato di mestizia per un addio che però dovrebbe essere soltanto un arrivederci, sia salutare alla mia anima e alle vostre anime come sempre.
È oggi la festa di Cristo Re e in tutti questi anni passati insieme negli avvenimenti gioiosi della comunità, come nei dolorosi, abbiamo cercato il Regno di Dio. Abbiamo cercato di accettare la sua volontà, anche se qualche volta dura. Assieme abbiamo lavorato perché Lui, il Maestro, l’Amico, il Fratello, il Salvatore potesse veramente regnare tra noi. Nella lettura prima di Ezechiele profeta, egli ci presenta Cristo Re nella figura di buon Pastore. È questa del Pastore una figura già ben nota fra gli antichi, talmente che nel suo poema Omero chiama il re “pastore delle genti”.
Il pastore, abbiamo sentito, guida amorosamente le sue pecorelle al pascolo buono e tiene lontano dai pericoli e dai precipizi. C’è tra lui e le sue pecorelle una commovente intimità; le conosce tutte, le chiama una per una col loro nome ed esse conoscono il loro pastore. Lo conoscono dalla sua voce e fuggono i pastori mercenari che vorrebbero sostituire il pastore vero e sono invece lupi rapaci. Ricerca la pecorella smarrita e la riporta dolcemente all’ovile.
Ho dovuto fare in questi giorni ed ho voluto fare in questi giorni, ultimi giorni che passo in mezzo a voi, oggetto della mia meditazione questa pagina di Ezechiele.
Dovrebbe essere questa la mia foto, purtroppo sono riuscito una brutta copia. Sì, in qualche aspetto ho cercato di assomigliare al buon Pastore: vi ho sempre amato e voluto bene.
Vi dicevo nell’ormai lontano 4 luglio 1954 dal pulpito che si trovava là in alto, nel nostro primo incontro, anche quello era un incontro domenicale, vi dicevo con l’entusiasmo di una già matura pastoralità: «Voglio conoscervi tutti per amarvi nel Signore». Ho cercato di conoscervi tutti negli incontri con le famiglie. Ho sentito di amarvi sempre di più, sempre più nelle ore del dolore, quel dolore che ci affratella, nelle ore dell’amara separazione che la vita naturalmente ci presenta. Sì, ho cercato di essere pastore, avvisandovi dei dirupi e dei pericoli, ho detto sempre pane al pane e vino al vino. Ho cercato anche, nonostante le mie fattezze esteriormente dure di montanaro, di stabilire con ciascuno di voi una profonda e sacra intimità.
Vi posso oggi chiamare ad uno ad uno per nome, dopo i molteplici incontri con i gruppi e con le famiglie.
Ho cercato di ricercare la pecorella smarrita, di rinfrancare coloro che erano titubanti nella fede e anche in questo lavoro di anima con anima il Signore mi ha accompagnato con la sua grazia, con la sua misericordia.
Non sempre sono riuscito a trattenere tutti e a trattenere e a preservare qualcuno dalle illusioni propinate da pastori mercenari; questo è il dolore più forte che mi accompagna quest’oggi e che mi accompagnerà nella nuova missione che il Signore, nell’ubbidienza, mi ha assegnato.
Ho cercato di essere seminatore tra voi evangelico, spiegandovi (era così bello parlare a voi così attenti) la parola di Dio. Ho cercato anche nella mia preparazione a questa predicazione di selezionare proprio perché fosse un grano di semina. Non sempre sono stato all’altezza, in quest’ardua missione, come voi avevate il diritto di aspettarvi.
Ho cercato di essere costruttore e restauratore delle vostr belle chiese, testimonianza viva, perenne, di una fede degli avi, ma anche della vostra: sempre, con magnanimità, mi siete venuti incontro.
Ho tutti i giorni - e sono stati tanti - della mia vita passati tra voi, ho fatto mia l’ansia di Cristo alla vigilia della sua morte per la nostra salvezza: «Ut unum sint», “che siano una cosa sola”, che siano veramente comunità, che si vogliano bene.
Il Signore solo sa quanto sia stato questo il mio assillo e benedirò ogni vostro sforzo che avete già fatto e che farete per superare ogni divisione, ogni particolarismo.
Ho voluto pure, con la vostra generosa collaborazione, creare un centro anche fuori dalla casa del Padre, per le diverse attività non propriamente ecclesiali. Riuscito stilisticamente, invidiato dalle comunità viciniori, non so se risponde al fine per il quale è stato realizzato.
Tanti preconcetti, anime che mi ascoltate, forse per l’ultima volta, tanti preconcetti devono essere bruciati, devono essere distrutti se vogliamo creare veramente un’autentica comunità.
Questo frutto che il Signore ha voluto che non vedessi, l’affido proprio a Lui, il Signore, perché con la vostra viva compartecipazione possa essere realizzato da colui che verrà dopo di me.
Ho in particolare amato il santuario di Somazzo. Ho desiderato che divenisse centro di spiritualità per la nostra comunità. Quanti e diversi incontri lassù! E penso che non siano stati vani. Proseguite e migliorate su questa strada.
Ho amato le chiese delle frazioni e le ho curate perché fossero più facile occasione d’incontro con Dio Padre, non mai occasioni di divisioni o separazioni.
E lascio ora la parola di Dio che mi è stata luce, che ci è stata luce in questa nostra ultima conversazione, con voi amati fedeli, per lasciare un po’ parlare il cuore, il cuore di un padre verso i figli che ha amato, che ama, che vi lascia per l’ubbidienza, ma non vi dimentica.
Anzitutto grazie alle autorità civili che si sono susseguite durante questo mio lungo priodo di vita tra voi, per la loro delicata collaborazione e gentile aiuto.
Un grazie poi a tutti e a ciascuno così non corro il pericolo di dimenticare qualcosa o qualcuno.
Grazie per le accoglienze delicate ai miei diversi progetti e furono molti. Grazie per i vostri consigli. Grazie della vostra collaborazione, della vostra generosità e solo con essa e la benedizione di Dio abbiamo potuto realizzare tante opere.
Continuate con lo stesso spirito anche con chi verrà dopo di me. Grazie soprattutto per tanti nascosti e silenziosi buoni esempi che mi avete dato e che furono per me incoraggiamento negli inevitabili sconforti della mia missione di pastore, delle delicatezze innominate di famiglie generose, di segreti sacrifici, di tanta carità anonima, di provvidenza vera.
In secondo luogo permettete che sinceramente domandi a tutti e a ciascuno, in questo incontro nella casa del Padre, perdono se involontariamente vi avessi offeso. Vi posso garantire che non l’ho mai fatto apposta e se c’è stato sarà stato soltanto il frutto di quell’umana fragilità che neppure l’ordinazione sacerdotale annulla. Come vi posso assicurare che io non ricordo offesa alcuna.
In terzo luogo siate sempre uniti nella via del Signore, perché il Regno di Cristo, regno di verità e di vita, regno di bontà e di pace, regno di gioia e di amore e di giustizia, possa sempre essere in voi, nei membri delle vostre famiglie, nelle famiglie tra lro, nell’intera comunità parrocchiale e, come avete amato me e seguito me, amate e seguite chi verrà dopo di me, il mio successore.
E in quarto luogo - e concludo - amate la Madonna, amate la Madonna. Ella mi ha preso per mano nel mio primo incontro tra voi, lo sapete, lo ricordate, gli anziani lo ricordano. Ho cercato anche sempre di tenere la mia mano nella sua, forse non sono sempre riuscito e per questo, già sapendo, ho voluto l’ultima processione della nostra Madonna per le vie del nostro paese quest’anno, perché vi benedicesse a uno a uno, vi benedicesse tutti, da Mamma.
Abbiate la Madonna nelle vostre case, come l’apostolo Giovanni l’accolse quando gliel’ha affidata Cristo agonizzante sulla croce per la nostra salvezza.
Cantavamo in latino nell’inno della Madonna “Iter para tutum”. Sì, il mio cammino, il vostro cammino, il nostro cammino, sarà sicuramente verso la Casa del Padre se non dimenticheremo, se non lasceremo da parte la Madonna.


Ultima omelia di commiato dell’Arciprete don Virginio Sosio, tenuta durante la S.Messa delle ore 10.00, nella festa di Cristo Re il 26 novembre 1978, Chiesa Plebana dei Ss. Pietro e Paolo


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